La pandemia sta aggravando la disuguaglianza in Europa, anche rispetto alla fertilità.
Un interessante articolo apparso qualche giorno fa sul sito Reuters mette in evidenza come questa pandemia abbia accentuato le disuguaglianze in Europa, anche aumentando il divario di fertilità tra i vari Stati.
«È ora di diventare mamma» era il testo della notifica push che centinaia di donne portoghesi hanno ricevuto lo scorso novembre sui loro cellulari. Il messaggio, inviato da una clinica privata di Lisbona per racimolare clienti per i loro reparti di maternità, ha scatenato lo sdegno sui social media dove molte donne hanno commentato che questo periodo, nel bel mezzo della pandemia e della recessione, è proprio il peggior momento per avere un bambino.
I dati suggeriscono che il coronavirus è un grande deterrente per gli aspiranti genitori, soprattutto se vivono in Stati europei come l’Italia o la Grecia, dove c’è incertezza economica e dove il tasso di natalità è già in forte declino.
Nell’anno 2000 in Portogallo ci sono state 120mila nascite. Lo scorso anno ce ne sono state 86.600, con una caduta del 39%: un crollo dovuto alla profonda recessione innescata dal COVID-19.
Oltre alle sfide che devono essere normalmente affrontate da tutte le coppie che vogliono avere un bambino, ora si aggiungono le difficoltà economiche che alcuni Paesi europei potrebbero affrontare per uscire dalla recessione post-Covid.
Meno nascite significano meno lavoratori, che saranno sempre più vecchi. Questo finirà per ostacolare la produzione economica e metterà a dura prova i regimi pensionistici pubblici, ampliando il divario tra il nord Europa più ricco e il sud più povero.
Irene Pontarelli, terapista di riabilitazione psichiatrica, 35 anni, aveva pianificato di avere il suo primo figlio quest’anno, dopo 7 anni di matrimonio.
Dopo aver lavorato per 2 anni a Ferrara, a 550 km da dove vive il marito Tony, finalmente aveva trovato lavoro a Isernia, sua città natia, e le era sembrato il momento ideale per mettere su famiglia.
Poi è arrivato il coronavirus e così Irene non è riuscita a vedere suo marito Tony da marzo fino a luglio a causa del lockdown, e ora è troppo stressata per pensare ad avere un figlio.
«I nostri ospedali sono vicini al collasso, specialmente al sud. Mi immagino nel reparto maternità, da sola, in un sistema sanitario che non riesce a lavorare adeguatamente. No, non mi sembra proprio il momento giusto per far arrivare un bimbo in questo mondo» dice.
Maria Vicario, presidente della federazione italiana dei collegi delle ostetriche, si aspetta che questa crisi abbia un forte impatto sulle nascite del prossimo anno: «Le donne in Italia fanno figli quando si sentono sicure, sia dal punto di vista lavorativo, che da quello economico e sanitario. Tutto questo è stato perturbato dalla pandemia».
La regione Lazio, soprattutto nei dintorni di Roma, ha visto triplicare i nati morti quest’anno perché le donne incinte avevano paura di andare in ospedale per i controlli di routine, ha aggiunto Vicario.
Dall’altra parte del continente, in Svezia, dove il welfare governativo è generoso ed efficiente, Eva Nordlund, presidente dell’associazione svedese delle ostetriche, dice che sta accadendo l’opposto: «Alcune cliniche per le donne incinta sono subissate di richieste per il gran numero di nuove gravidanze».
In Germania, colosso dell’economia europea, il tasso di fertilità prima della pandemia corrispondeva alla media europea di 1,5 nati per ogni donna. Francia, Svezia e Danimarca erano i Paesi europei con tasso di fertilità più alta (1,7), mentre Italia e Spagna erano i fanalini di coda con un tasso al di sotto di 1,3.
Uno studio effettuato sui 5 Paesi europei più grandi durante la prima ondata di coronavirus (in marzo e aprile) ha evidenziato che oltre i due terzi delle persone sotto i 34 anni hanno deciso di rimandare o addirittura rinunciare ad avere un figlio durante la pandemia.
Secondo la ricerca condotta dall’Università Cattolica di Milano, gli intervistati in Italia e Spagna erano molto più inclini a cancellare i loro piani per metter su famiglia rispetto a quelli in Gran Bretagna, Francia e Germania.
Rui Pires, docente di sociologia presso l’Istituto Universitario di Lisbona, dice che i fattori chiave che si nascondono dietro al crollo dei tassi di natalità sono la diseguaglianza di genere e la mancanza di un sostegno alle famiglie da parte dello Stato. L’Europa meridionale è in ritardo rispetto al nord, ma Pires afferma che «le disuguaglianze sono diventate più evidenti a causa della pandemia».
Uscire dalla recessione
Italia e Spagna, più che gli altri Stati coinvolti nello studio della scorsa primavera, stanno affrontando le conseguenze della doppia recessione causata dalle crisi finanziarie avvenute tra il 2008 e il 2012.
Come anche in Portogallo e Grecia, i giovani in età fertile sono stati i più colpiti da queste recessioni. A migliaia si sono trasferiti all’estero, e quelli che sono rimasti lottano con magre prospettive di guadagno, alta disoccupazione e mancanza di strutture per l’infanzia.
«L’Italia è una nazione che demograficamente sta morendo» afferma Alessandro Rosina, professore di demografia all’Università Cattolica, il quale ha condotto questo studio congiunto.
«La situazione era già disperata e ora la pandemia minaccia di spazzare via ogni speranza di salvezza» dice sconsolato.
Le nascite annuali in Italia sono diminuite costantemente da oltre 800.000 fino alla metà degli anni ’70, a 420.000 nel 2019, il numero più basso dall’unificazione del Paese avvenuta nel 1861.
Giancarlo Blangiardo, capo dell’ISTAT, ha detto al parlamento a fine novembre che l’emergenza coronavirus e le difficoltà economiche connesse accelereranno il trend, prevedendo 408.000 nascite nel 2020 e solo 393.000 nel 2021.
Blangiardo ha aggiunto che le nascite potrebbero anche scendere sotto i 400.000 quest’anno a causa di un «calo sostanziale a dicembre», cioè 9 mesi dopo che l’Italia ha messo in atto il lockdown.
In Spagna, che ha il secondo tasso di fertilità più basso in Europa, subito dopo il minuscolo Stato di Malta, le nascite erano già in calo prima del coronavirus, registrando una diminuzione del 16% tra il 2014 e il 2019.
«È abbastanza sicuro prevedere ancora meno nascite per il prossimo anno, forse si assisterà a un calo più netto rispetto a quello che ci sarebbe stato senza Covid, e la tendenza rimarrà probabilmente anche negli anni successivi» afferma Alejandro Macarron, demografo dell’Università CEU di Madrid.
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